22 Apr Come sopravvivere alla bufera
Il mondo cambia velocemente. Lo abbiamo sempre saputo, ma oggi, durante questa infinita quarantena, ne siamo ancora più consapevoli. Gesti che sembravano scontati come andare ogni ogni giorno al lavoro con la metro, bere un aperitivo con gli amici, andare a farsi la corsetta al parco ci mancano e ci fanno pesare questo difficile periodo.
Una cosa è certa: il cambiamento è l’unica costante del genere umano e con essa la nostra resilienza e la nostra capacità di adattarci a qualunque situazione.
Come dice Yuval Noah Harari sulle pagine del Financial Times “This storm will pass. But the choices we make now could change our lives for years to come.” La bufera finirà. Ma le scelte che facciamo ora potrebbero cambiare le nostre vite per gli anni a venire.
Credo molto nella forza del cambiamento, sia quando è voluto che quando è subito. Perché ci costringe ad uscire dalla nostra di comfort zone e a prendere decisioni che altrimenti non avremmo preso. Alla fine, chi ne esce vincitore è colui che dentro di sé ha saputo fare quello che il genere umano ha fatto per sopravvivere fin dalla preistoria: adattarsi.
Quello che conta, come dice Marco Montemagno nel suo ultimo libro “Lavorability” è “comprendere il tempo in cui si vive e i cambiamenti che porta con sé”. Certo, Monty ha scritto questo libro molto prima che arrivasse la pandemia, ma le sue parole ora prendono un valore diverso, quasi profetico.
“Per quanto tu possa essere il più bravo del mondo nel tuo lavoro, se cambiano, anche di poco, le condizioni socioculturali e tecnologiche del pianeta vieni tagliato fuori”.
Parole dure come macigni in questo momento.
Ma come sopravviviamo a questo periodo difficile? Come riusciamo a capire dove andare a parare?
Non sono una psicologa e nemmeno una coach. Non desidero darti consigli su come vivere oggi, perché non ne ho le competenze. Mi limito a raccontarti come la vedo, come ho fatto in passato e come io sto provando a gestire la situazione, nel mio mondo, nel mio schema di valori e nelle mie condizioni economiche, che potrebbero non essere le tue. La mia speranza è che leggendo queste righe, tu possa cogliere qualche spunto per vivere meglio oggi e magari per farti venire un’idea su come adattarti al tuo nuovo domani. Perché mi piace pensare che ci siano grandi possibilità in questo momento, come quando è arrivata la corrente elettrica e si temevano le lampadine e quando è arrivata l’automobile e si pensava che era troppo lenta e scomoda.
Vivere nel qui ed ora
Vivere il più possibile nel presente è uno stratagemma per evitare di vivere nei rimpianti, pensando al passato e nell’ansia, pensando al futuro. Non è banale arrivarci, ma sforzarsi di dividere passato, presente e futuro in comparti stagni ed isolati per me è stato davvero utile.
Vivere nel presente vuol dire essere consapevole di quello che sto facendo, sentendo o pensando ora. Quante volte ci siamo lavati i denti al mattino e la nostra mente era già proiettata sulla giornata che ci aspettava in ufficio. Oppure sulla discussione avuta in famiglia il giorno prima.
Vivere con consapevolezza la propria vita vuol proprio dire assaporare ogni momento, bello, brutto o noioso che sia. Senti come si muove il tuo corpo intanto che ti lavi i denti, che sapore ha il dentifricio? Che rumori senti? E che profumi o odori? Io ho iniziato proprio da questa semplice azione quotidiana e alla fine ho imparato a godere al meglio possibile dei momenti che ho. Certo non è facile farlo tutti i giorni, di fronte a problemi spesso complessi. Ma ci provo. E scopro che serve eccome.
“Io non vivo né nel mio passato, né nel mio futuro. Possiedo soltanto il presente, ed è il presente che mi interessa. Se riuscirai a mantenerti sempre nel presente, sarai un uomo felice. La vita sarà una festa, un grande banchetto, perché è sempre e soltanto il momento che stiamo vivendo.
“L’alchimista” di Paulo Coelho
Non smettere di sognare e di desiderare
Sono cresciuta in una società legata al dovere: studia, trova un lavoro, ammazzati di lavoro, mai una gioia e poi, se ci arrivi, vai in pensione e muori. Non ho mai creduto a questi dogmi: mi sono sempre detta che sono io il pilota della mia vita e decido in prima persona come viverla.
Quello che mi ha portato fino a qui è la mia inesauribile voglia di progettare e di desiderare. Perché i sogni resteranno nel cassetto finché non deciderai di essere il primo a crederci, di tirarli fuori e di provare a farli diventare reali.
Vuoi provare? Ti consiglio di scrivere i 101 desideri che Igor Sibaldi propone nei suoi corsi e nei suoi libri. Sì, 101. Sembrano tantissimi. Inizia a scrivere su un quaderno. Vedrai, che i desideri sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Periodicamente controlla il tuo quaderno, spunta i desideri che si sono realizzati e aggiungine di nuovi. Ti renderai presto conto che i desideri diventano concreti quando li metti per iscritto: inizi a dargli forma e valore e li interiorizzi a tal punto che prima o poi li metti in pratica e li realizzi.
Il bicchiere mezzo pieno e la legge dell’attrazione
Adoro questa foto. Mi piace perché esprime un concetto tanto facile come quello del “bicchiere” e lo declina sulle diverse personalità e caratteristiche individuali.
Per dovere di cronaca: per me il bicchiere è sempre mezzo pieno.
Nei momenti tosti di grande difficoltà -sentimentale, economica – vedere il bicchiere mezzo pieno ed essere grata di quello che comunque avevo mi ha aiutato a farmi forza e a gettare lo sguardo oltre, attraendo opportunità che forse non sarebbero mai arrivate con un’attitudine diversa. Possiamo spendere ore a parlare di destino e serendipità e cioè “la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra (Wikipedia)”.
Credo anche nella legge dell’attrazione: positività porta positività, negatività porta negatività. Cambiare l’attitudine verso la vita mi ha permesso di abbracciare cambiamenti che mai avrei pensato di raggiungere (per esempio licenziarmi e diventare free-lance) e di incontrare persone meravigliose che mai avrei incontrato se non lo avessi fatto.
I tuoi pensieri diventano realtà: alla fine finisci per attrarre ciò a cui pensi. Riprendi i tuoi 101 desideri: se ti concentri abbastanza, lasciando fuori i pensieri negativi, vedrai che riuscirai ad attrarli.
Abbandonare ciò che non serve
Un passaggio importante per arrivare dove sono oggi ed accettare con relativa tranquillità la pandemia che stiamo vivendo è stato quello di distaccarmi dalle cose e da ciò che esse rappresentano. Sono solo cose alla fine e se abbiamo bisogno di un’auto o di una borsa firmata per sentirci qualcuno, beh… potremmo davvero stare male oggi, rinchiusi in casa nella stessa tuta e felpa da un mese.
Imparare che le cose non ci definiscono ma sono solo oggetti che ci servono per vivere è stata un’epifania. Perché da lì ho capito che le cose che mi servono davvero sono proprio poche. Certo, non sono un monaco che rinuncia a tutto, sia chiaro. Ma ho imparato a farmi la domanda strategica “mi serve davvero?” quando sono (forse, ad oggi, è meglio dire ero) davanti ad una vetrina.
No, non mi dire la frase fatta “basta la salute”. La salute è un elemento fondamentale, ma nemmeno lei è sufficiente se non hai un tetto sopra la testa, del cibo sulla tua tavola tutti i giorni, dei vestiti per coprirti e una famiglia e degli amici che ti amano. Queste sono, tutte insieme, le cose che contano davvero.
E la quarantena ci ha insegnato che forse l’auto di lusso non ci serve davvero e che possiamo spendere il denaro risparmiato in esperienze da dedicare a noi, alla nostra famiglia, ai nostri amici e anche ha chi ha più bisogno.
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Allenare l’empatia e la gratitudine
Chi ha più bisogno di noi, di cosa ha bisogno? Mi domando spesso: riesco a mettermi nei panni del prossimo e cercare di “sentire” dentro di me il dolore, la sofferenza o la gioia che gli altri vivono?
Questo periodo mi ha insegnato che non siamo tanto bravi con l’empatia, ma molto più allenati con la gelosia e l’invidia, che ne sono l’esatto contrario. Il capro espiatorio delle nostre sofferenze sono diventate le persone che escono da casa, in un’infinita spirale di “Perché lui sì e io no”. Al netto di coloro che non rispettano la legge, ci siamo mai chiesti perché questa persona usciva? Magari è un medico o un’infermiera e stanno andando a salvare delle vite. Oppure si tratta di un dipendente di un supermercato che in questo momento mi dà la possibilità di trovare tutto quello che mi serve, oppure si tratta di una persona con disabilità che deve per forza uscire per riuscire a gestire la sua condizione.
Ok non mi fanno uscire… però sono sana, non faccio un lavoro difficile come quello del medico o dell’infermiere, non devo per forza stare a contatto col pubblico, posso lavorare in smart working. Forse, tu che leggi, hai ancora un lavoro, non sei stato licenziato come succede a tante persone nel mondo in questo momento e hai degli ammortizzatori sociali, magari scarsi, ma li hai. Non come in certi paesi occidentali dove il sussidio non c’è oppure dove devo pagarmi le cure ospedaliere.
Sono solo degli esempi, ma il messaggio è uno: sono grata di quello che ho e anche se nei prossimi anni farò fatica, beh, mi organizzerò, studierò ancora, cercherò di capire come fare.
Riprendo il libro di Montemagno citato all’inizio e faccio mia una frase, cambiandola un po’:
“l’incertezza è molto faticosa e implica una trasformazione del modo di rapportarsi al lavoro, alla società e alla vita mettendo anzitutto da parte tutte le ideologie rigide con cui siamo cresciuti”.
“Mastichiamo” le credenze, le ideologie e impariamo a tenerci solo quello che ci fa davvero bene e ci aiuterà ad affrontare il mondo di domani.
In bocca al lupo.
Mariella Borghi